venerdì 10 aprile 2020

dialoghi di Platone #step08

Facendo riferimento a Platone, nei suoi dialoghi possiamo riscontrare nel Sofista l'apice della riflessione logica di Platone, dialogo che insieme a Teeteto e Politico, costituisce l'unica trilogia presente nel corpus platonico. La suddetta ha la finalità di come dover giudicare il sofista, il politico ed il filosofo, se vadano considerati come un'unica figura, o se presentano delle differenze tra di loro. Durante il dialogo tra Teeteto ed un'ospite viene affrontato il tema del linguaggio, nello specifico l'uso appropriato dei termini al fine di instaurare una giusta comunicazione con l'interlocutore:


OSPITE: Orsù, secondo quanto si diceva sugli aspetti e sulle lettere, facciamo di nuovo l'esame allo stesso modo sui nomi. Apparirà infatti in qualche maniera quanto ora viene ricercato.
TEETETO: E quale problema dobbiamo ascoltare sui nomi?
OSPITE: Se tutti sono in armonia tra di loro o nessuno; se alcuni tendono ad armonizzarsi e altri no. TEETETO: Questo almeno è chiaro che alcuni tendono ad armonizzarsi, altri invece no.
OSPITE: Tu, forse, intendi dire questo: le parole pronunciate l'una dopo l'altra e che hanno una qualche significazione, queste appunto si armonizzano, quelle invece che pure in serie ininterrotta non significano nulla, non si lasciano armonizzare.
TEETETO: E cosa intendi dire con questo?
OSPITE: Ciò per cui credevo tu avessi pensato a dirti d'accordo. Noi abbiamo, nel linguaggio, un doppio genere di indicazioni circa l'essenza.
TEETETO: Quali sono?
OSPITE: L'uno è chiamato «nomi», l'altro «espressioni».
TEETETO: Spiegami l'uno e l'altro.
OSPITE: L'indicazione che abitualmente designa le azioni noi la chiamiamo verbo.
TEETETO: Sì .
 OSPITE: E il segnale della voce che viene posto secondo quelli che le compaiono viene chiamato «nome».
TEETETO: Esattamente.
OSPITE: Ora, solo con i nomi, pur messi in fila, non è possibile mai avere un discorso e neppure con verbi separati dai nomi.
TEETETO: A questo punto non ci sono arrivato.
OSPITE: è chiaro che tu ti fissavi su qualcos'altro, quando, poco fa, ti dicevi d'accordo. Poiché è          proprio questo che io volevo dire, che questi nomi, anche se vengono detti, così , di seguito, non danno luogo a un discorso.
TEETETO: Come?
OSPITE: Per esempio: «marcia», «corre», «dorme» e quanti altri verbi designano azioni, anche se uno li pronuncia tutti in fila, per nulla di più costruisce un discorso.
TEETETO: E come potrebbe farlo?
OSPITE: E ancora quando si dice «leone», «cerbiatto», «cavallo» e quanti altri nomi furono attribuiti a quelli che compiono le azioni, neppure secondo questa serie mai si realizzò un discorso. Perché né in questa né in quella maniera le parole pronunziate non indicano né azione, né inazione, né realtà dell'essere, né del non essere prima che qualcuno non abbia fuso i verbi con i nomi. Allora si armonizzano e il primo intreccio diviene subito un discorso, quasi il più semplice e il più piccolo dei discorsi.
TEETETO: E in quale senso dici questo?
OSPITE: Quancio qualcuno dice: «L'uomo impara» non ammetti anche tu che questo è il più corto e il più semplice dei discorsi?
TEETETO: Sì .
OSPITE: Già allora, infatti, in qualche modo esprime le cose che sono, che divengono, che sono divenute, che diverranno e non nomina solo, ma porta a compimento qualcosa intrecciando i verbi con i nomi. Perciò noi diciamo che parla e non fa soltanto dei nomi e appunto a questo tessuto attribuiamo il nome di discorso.
TEETETO: Giusto.
OSPITE: E così , come avveniva per le cose, che alcune stavano in armonia con le altre, e alcune no, così avviene anche per le significazioni della voce: alcune non si armonizzano, altre invece armonizzandosi tra di loro creano il discorso.
TEETETO: è certamente così.

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